domenica 1 luglio 2007

Analisi del testo letterario agli esami di stato

Sono profondamente indignata per la prova di analisi del testo data quest'anno. Si era detto da più parti che non aveva senso dare Dante a tutti gli studenti tenendo conto del fatto che la lettura della Divina Commedia non fa parte, se non in casi particolari, dei programmi realizzati negli istituti tecnici. Ho l'impressione che anche questo ministero si faccia beffe della scuola DEMOCRATICA e preferisca continuare su vecchi filoni classisti. Tanto vale che si finisca con queste ipocrisie: si diano prove differenziate per tipi di scuola e si dica che non ha senso fare analisi di testi letterari negli istituti tecnici perché, tanto, all'esame di stato gli studenti di queste scuole non possono avere la possibilità di scegliere fra TUTTE le tipologie. Mi auguro che il GISCEL lo urli a questi signori. Io continuo a fare anche analisi di testi ma mi dispiace veramente imbrogliare i miei studenti!
Maria Rizzato

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Maria, non sono del tutto d'accordo con la tua indignazione. L'analisi di testo dovrebbe mettere gli studenti non di fronte alla ripetizione di quel che hanno "fatto" in classe, ma di fronte a qualcosa di nuovo su cui
possano esercitare la competenza di lettura e analisi che hanno maturato. Certo la novità non può essere totale, ma spero che Dante non sia una novità per gli studenti di I.T.: certo avranno letto ("fatto") l'Inferno in terza, e poi basta. Ma un'altra idea che non dovremmo accettare supinamente dal senso comune è che l'esame debba vertere solo su ciò che si è "fatto" l'ultimo anno. Dietro c'è ancor una volta l'idea che si tratti di ripetere quel che si è studiato; ma se è per questo, possiamo fare a meno dell'esame e anche della scuola. Io criticherei la scelta perché è caduta su un canto molto letto nei licei là dove la lettura del Paradiso resiste nell'ultimo anno. Il criterio che cercammo di suggerire al tempo degli inizi di questa formula di esame era "testo probabilmente nuovo di autore o contesto probabilmente noto". Molti liceali possono aver ripetuto quel che avevano appreso in classe, e questo rende l'esame taroccato. Si potrebbe anche osservare che un testo in italiano del Trecento è inevitabilmente più arduo per uno studente di I.T (e di I.P.); ma questo vale per qualunque prova centrata su competenze letterarie; allora bisognerebbe mettere in dicussione l'esistenza stessa della prova di tipo A (o "tipologia", nell'italiano semicolto del Ministero). Il tipo B è differenziato per tener conto della tipologia degli istituti superiori (cioè dei loro diversi tipi): è solo un residuo storico che in più ci sia una prova eslusivamente letteraria?

Anonimo ha detto...

Vorrei precisare che la
frequentazione costante (per tre anni consecutivi) di un classico crea
condizioni differenti rispetto a una lettura più limitata nel tempo. Inoltre
una cosa è discutere in astratto sulla bontà dell'analisi del testo
letterario, un'altra cercare concretamente opportunità grazie alle quali
TUTTI possano esercitare le capacità di analisi di un testo letterario.
Concretamente è diverso l'esercizio su un testo LETTERARIO del '900 rispetto
ad uno del Trecento, per la lingua non per la letterarietà. Ancora, non si
può mettere in discussione la necessità che TUTTI si cimentino con la lingua
letteraria, per le valenze culturali implicate, ma ciò non deve creare
l'immagine di una letterarietà sinonimo di alterità temporale.
Maria e Enrico Marchet

mariateresa ha detto...

Gli interventi che ho letto mi colpiscono tutti per i problemi che pongono.
Sono d’accordo con Adriano quando sostiene che l’esame non deve provare quanto uno studente sa ripetere perché “l’ha fatto in classe”, ma piuttosto quanto sa fare sul testo assegnato perché ha acquisito gli strumenti per farlo, ha cioè le competenze adeguate allo scopo. Del testo letterario, quindi, sa cogliere il significato complessivo e quelli più analitici, sa mettere in evidenza la forza semantica delle parole, istituire eventualmente confronti con altri testi dello stesso o di altri autori, sa esplicitare se quel testo è “risonante” o meno. Dovrebbe, in buona sostanza, saper spiegare perché e come capisce quel testo, a partire dalla lingua. E allora si può chiedere anche di “leggere” Dante alla maturità perché l’80% circa del lessico corrente è presente nel padre della nostra lingua. Si tratta piuttosto di scegliere il passo con oculatezza, se si vuole una prova comune di italiano.
Sono d’accordo anche con Maria e Enrico M. che la letterarietà non debba essere percepita come una lingua cronologicamente distante. E a questo devono pensare gli insegnanti. Lo studente è chiamato a dare prova di scrittura prima di tutto, di un buon livello di uso scritto della lingua.
E sono d’accordo con Maria che pone l’accento su un aspetto non irrilevante dell’esame che conclude la scuola superiore e ci invita a discuterne proprio sul blog del Giscel che, a partire dal 1998 e fino al 2004, ha curato la parte scientifica del progetto ministeriale Laboratorio di scrittura.

mariateresa