venerdì 9 aprile 2010

Sulle Indicazioni Nazionali per i Licei

Al sito dell'Ansas-Indire è disponibile dal 23 marzo uno spazio per la discussione della bozza delle Indicazioni per i Licei.

Personalmente trovo questa bozza lontana dalle nostre "idee per un curricolo di educazione linguistica democratica" e dai traguardi dei giovani liceali. Rimango perplessa davanti alla convinzione che la padronanza completa delle strutture elementari e avanzate della lingua italiana generi come conseguenza naturale la sicurezza sul piano della comunicazione orale e scritta. Che cosa ne pensate?

22 commenti:

Daniela ha detto...

Ho letto con attenzione la bozza (che a mio parere non sarà per niente una bozza, ma invece un testo praticamente definitivo) e vi ho trovato degli elementi positivi (pochi: è positiva la parte sulla riflessione linguistica esplicitamente estesa a tutti e cinque gli anni) e altri negativi (parecchi: il prevalere assoluto, o quasi, dei testi letterari, il canone assolutamente tradizionale, italianocentrico, con le opere dei “classici” europei da proporre solo come “letture domestiche”, le letterature extraeuropee inesistenti, ecc.; la sostanziale mancanza di descrizione precisa degli esiti formativi).
Daniela (29 marzo 2010)

Maria Pia ha detto...

Avevo visto a novembre una bozza molto diversa di queste Indicazioni per i Licei, che tentava di essere più dettagliata, e con la traballante (per me) suddivisione in conoscenze, abilità e competenze. Adesso vedo che è scomparsa la tripartizione (bene, per me), ma è aumentata a dismisura la genericità degli indici, soprattutto relativamente alla riflessione sulla lingua, ridotta ad una lista tra parentesi dei diversi livelli di analisi, da verificare nel biennio. Nel triennio basterà cogliere "tutte le occasioni adatte a riflettere ulteriormente sul funzionamento del sistema della lingua": questo è quanto. A me pare che su questo versante non cambi davvero nulla rispetto al passato.
Maria Pia (30 marzo 2010)

Edoardo ha detto...

Penso che un qualche segnale, anche di utopia, debba essere dato e comunicato soprattutto alle associazioni dei docenti, alle scuole, a chi fa formazione…
Indicazioni per i licei così generiche possono lasciare tutto come è tradizione che sia (il “canone” è forte, ma giace anche culturalmente inerte; gli editori sono contenti, perché non dovranno modificare le linee e i contenuti dei libri di testo se non, in qualche caso, modificando le periodizzazioni, si evocano pratiche desuete, si limitano gli spazi di conoscenza e di formazione interculturale, ecc.), ma forse anche no, con il tempo (anche se con le sue lentezze) lavorando sugli aspetti positivi che le indicazioni comunque contengono perché siano amplificati e sulle contraddizioni e sulle debolezze che esse presentano perché siano poste in evidenza e pragmaticamente superate con l’intervento formativo.
Dobbiamo ancora, anche se sappiamo quanto sia difficile (e stanchevole!), continuare a lavorare per un cambiamento che è necessariamente e innanzitutto culturale (della cultura educativa, disciplinare, professionale dei docenti, degli strumenti e dei modi dell’insegnare e dell’essere a scuola, sfruttando al meglio la cultura e le buone pratiche che abbiamo elaborato e diffuso in questi 40 anni, ricercando e trovando anche nuove opportunità. Dobbiamo continuare a costruire una cultura dell’educazione linguistica (e letteraria, della comunicazione, … e forse anche di qualche cosa d’altro in questo paese di figli di un benessere minore).
Edoardo (30 marzo 2010)

Adriano ha detto...

Prime osservazioni sul “profilo” e sugli “obiettivi specifici” di lingua e letteratura italiana.

Programmi e competenze

1. I nostalgici dei programmi possono essere felici: qui si parla di “profilo di competenze” ma di competenze non c’è traccia, si parla di “obiettivi specifici di apprendimento” ma si parla in sostanza solo di insegnamento, con un ben noto rimescolio di traguardi, prescrizioni di contenuto e suggerimenti. Si noti la frequenza di espressioni come «appare opportuno suggerire...», «è bene prevedere anche...», «appare opportuno che...» e dei futuri vagamente prescrittivi: «un percorso didattico sarà dedicato...», «si insisterà...», «l’azione proseguirà...». proprio la lingua dei programmi, che erano così belli, ma non venivano mai applicati, certo per colpa del destino cinico e baro.
Nel caso specifico, credo che abbiamo poco più che dei ritocchi ai programmi emanati nel 1944 dall’apposita Commissione del Governo Militare Alleato (che erano poi, credo, una defastiscizzazione dei programmi Gentile): finalmente, finalmente, il liceo proprio come lo ho fatto io! (e mio padre, e mio nonno). Su questo punto vorrei essere più preciso quando potrò fare le opportune verifiche.
2. Se non vogliamo parlare di “competenze”, possiamo almeno chiederci che cosa dovrebbe saper fare di linguistico e letterario un giovane all’uscita di un liceo. Per esempio:
- dovrebbe «variare l’uso della lingua» secondo criteri indiscutibili e poi anche «ampliando contestualmente il proprio lessico»; stiamo parlando di valutare testi prodotti, e vorrei sapere che cosa non sia “contestuale”; il lessico potrà essere più o meno vario, preciso adeguato... ma come faccio a sapere se è “ampliato”, rispetto a cosa?
- «Dovrà infine aver raggiunto una complessiva coscienza della storicità della lingua italiana»: bella definizione, adatta a una pappardella da ripetere a memoria;
- lo stesso si può dire di «acquisire familiarità con la letteratura».
Le sole prestazioni riconoscibili, verificabili, sono quelle mnemoniche:
- «concentrarsi sul profilo storico della letteratura italiana»: se la concentrazione non è facilmente verificabile, la ripetizione mnemonica di un buon Bignami lo è;
- «Dovrà anche cogliere il rilievo delle opere più significative nella storia della tradizione letteraria attraverso la loro fortuna»; non nego l’importanza di queste cose, noto solo che sono un tipico terreno del “leggi e ripeti”.
(31 marzo 2010)

Adriano ha detto...

Prime osservazioni sul “profilo” e sugli “obiettivi specifici” di lingua e letteratura italiana (II)

Il profilo generale fra lingua e letteratura

3. Qualche osservazione specifica sul “Profilo”:
- «dovrà padroneggiare la lingua italiana nell'insieme delle sue strutture, da quelle elementari (ortografia, interpunzione e morfologia) a quelle più avanzate (sintassi complessa, lessico astratto, letterario e specialistico)»: dunque la punteggiatura è una “struttura elementare” da affiancare a ortografia e morfologia (tanto si tratta sempre di segnetti...); è incredibile che un testo redatto da personalità autorevoli possa contenere simili spropositi; a Luca Serianni, membro del gruppo che ha redatto il testo, suggerirei di rileggere quanto ha scritto in proposito in un capitolo di Italiani scritti (2003);
- in tutto il paragrafo Lingua, che si occupa essenzialmente di produzione scritta, è assente la testualità (la coesione, la pianificazione);
- fra i traguardi, i testi da saper scrivere, compare giustamente il riassunto, ma anche «ricostruire, a grandi tratti, un fenomeno storico o culturale»: è il tema sull’universo, il chiacchiericcio imparaticcio che ben conosciamo;
- nella parte “letteratura” compare la seguente espressione: «... la capacità di rappresentare, nelle forme simboliche che gli sono proprie, i più vari contenuti dell’esistenza umana, da un profilo antropologico, psicologico, ideologico»: “rappresentare da un profilo”, un buon esempio di come non si dovrebbe scrivere.
4. Infine, il programma di letteratura, quello che tutti guarderanno. Qui davvero trionfa la ripetizione dei programmi dal Governo Militare Alleato in poi (e forse da prima); posso assicurare che anche la raccomandazione di partire dalla lettura dei testi non è mai mancata, nell’ultimo mezzo secolo. Naturalmente, essendo trascorsi più di sessant’anni, la litania del canone si è allungata un po’. C’è un po’ più di roba da stipare negli anni, e allora compaiono l’Iliade e l’Odissea in prima (maledizione, non si leggono più alle media, o forse sì, ma repetita...), le origini della letteratura italiana in seconda... Naturalmente «appare essenziale non compromettere il gusto per la lettura», beninteso, attraverso le letture obbligatorie!
Devo correggermi a proposito della ripetitività dei programmi: cinquanta o sessanta anni fa non si scrivevano certe vacuità stile anni sessanta-settanta, come «lo studio del sistema letterario, nella complessa articolazione dei generi e degli stili della modernità».
Naturalmente quando si comincia a snocciolare un canone (di stato) del Novecento, le polemiche sul nome in più o in meno non mancheranno. A me pare mostruosa l’omissione di Pavese, il più perfetto stilista della generazione del dopoguerra accanto a Fenoglio: posso essere contestato, ma deve essere lo stato a decidere se ho ragione o torto?
5. Non sarebbe giusto tacere i punti di questo programma che hanno il mio consenso:
- la presenza del riassunto fra le prove di scrittura al più alto livello;
- l’approccio essenzialmente storico alla riflessione sulla lingua nel triennio conclusivo;
- la raccomandazione di lettura domestica dei classici stranieri, e qui so che qualcuno ha già storto il naso. Dobbiamo intenderci: se vogliamo un ingresso a pieno titolo nella letteratura non più italiana di Shakespeare, o Cervantes, o Proust, o del mio amato Donne, allora dobbiamo dire chiaro che si può rinunciare a qualcuno dei classici della letteratura italiana (possibilmente senza decidere per decreto quali). In ogni modo non si può bere e fischiettare.
(31 marzo 2010)

Cristina ha detto...

Annotazioni sparse (I)

Sono abbastanza d’accordo con quanto dice Adriano e posso solo aggiungere alcune annotazioni sparse, nella consapevolezza che queste sommarie Indicazioni, nella loro sinteticità estrema, potrebbero anche non esserci e nessuno se ne accorgerebbe, in un ritorno rassicurante al passato (per chi vuole essere rassicurato), magari con una positiva distinzione tra “lingua” e “letteratura” che investe in verticale tutti i cinque anni (e questa è una novità apparentemente rispondente a quanto abbiamo sempre invocato). Tuttavia la cosa resta poco più che una petizione di principio, e la cosa mi conferma su un punto che mi ha in parte sempre trovato un po’ in disaccordo con Adriano. Secondo me, infatti i programmi o le “indicazioni” dovrebbero essere ben più ampi quanto a estensione, argomentazione e suggerimenti di metodo rispetto a quella sinteticità che invece spesso lui ha auspicato: l’estrema sintesi rischia di produrre cose come quelle che abbiamo di fronte. Sappiamo bene, inoltre, quanto i docenti dei licei siano sempre stati caratterizzati, tra i docenti dei vari gradi scolastici (e anche dei vari tipi di scuola), da una maggiore resistenza a qualunque rinnovamento che passasse da una seria formazione in servizio (che fatica, per esempio, i primi seminari nazionali del “Laboratorio di scrittura”!). A maggior ragione, dunque, avrebbero bisogno di indicazioni ben più articolate.
Queste sono così sintetiche che le novità (legate fondamentalmente a quanto dicevo, anche se punteggiate di svarioni: ortografia e interpunzione come “strutture” dell’italiano?!) non si vedono e annegano in una sintesi che orienta comunque verso un appiattimento sulla lingua scritta (è indicativo che per prima cosa venga citata l’ortografia!) e la letteratura, nella quasi totale assenza, come notava Adriano, per la dimensione testuale. La testualità sembra emergere solo (in modo tradizionale) per i testi letterari, quando si citano i generi e la necessità di fornire strumenti per l’analisi dei testi, senza dimenticare quelli poetici e la loro struttura (questo comunque mi sembra positivo, dato che gli strumenti per leggere poesia sono i grandi assenti anche nella strumentazione di partenza di un insegnante ‘medio’...).
Tuttavia, a leggere bene questi programmi (riverniciati come “indicazioni” e con malintesi “obiettivi specifici di apprendimento” che riguardano in fondo un elenco di autori -e poco più- che non si possono non fare) ci sarebbe, ma solo per un insegnante ben preparato sul piano dell’educazione linguistica e linguistico-letteraria, tutto il modo di leggere tra le righe molto altro, molto di ciò che per noi è sacrosanto. Compresa l’idea che l’educazione linguistica (che sembra si facciano i salti mortali per non nominare) sia per molti versi anche trasversale a più discipline. Per esempio, quando si parla delle attività per verificare la competenza testuale attiva e passiva, si dice che “Tale percorso includerà l'apporto di altre discipline con i loro specifici linguaggi” (primo biennio), e una cosa analoga è ripetuta anche per il secondo biennio. E, a ben vedere, c’è anche tutta la produzione orale e scritta che si voglia, con l’annessa debita attenzione per problemi testuali e uno sguardo ai testi in tutta la loro varietà, a saper leggere indicazioni come “Nell’ambito della produzione orale si darà rilievo al rispetto dei turni verbali, all’ordine dei temi e alla concisione ed efficacia espressiva. Nell’ambito della produzione scritta si insisterà sull’allestimento del testo, sulla sintassi del periodo, sull’uso dei connettivi, sull’interpunzione, sul dominio del lessico astratto” (nella parte per il biennio, ma cose analoghe compaiono anche per gli anni successivi). Ma si ribadisce immediatamente che “Al centro dell’attenzione saranno i testi letterari”(nel secondo biennio) e quelle poche affermazioni ‘nuove’ annegano così in un mare di letteratura e persino di storia letteraria anticipata al secondo anno del primo biennio, con tutto ciò che precede lo Stilnovo.
(2 aprile 2010)

Cristina ha detto...

Annotazioni sparse (II)

Credo sia importante vedere queste indicazioni nella loro interezza.
A proposito delle lingue straniere si trovano indicazioni con obiettivi linguistici ben più articolati e spesso colti in una raccomandata dimensione trasversale con “altre lingue” (per quanto tra queste altre lingue non si trovi esplicitamente citato l’italiano: sembra anzi sia stato fatto uno sforzo per non nominarlo).
E ora scopro, in questa esplorazione rapidissima, che nell’ambito del latino per i licei classici si dice che “attraverso il confronto con l’italiano e le lingue straniere note, [lo studente] dovrà aver acquisito conoscenza e controllo degli strumenti linguistici e consapevolezza della funzione e del valore della comunicazione”: un po’ singolare far scoprire il valore della comunicazione a partire da una lingua morta, me tutto è possibile, a patto di avere la sensibilità e la formazione adatte.... (la stessa cosa è ripetuta pari pari per il greco).
A voi il ‘piacere’, adesso di continuare in questa esplorazione. Vi segnalo che potrebbe essere anche molto interessante (e indicativo) vedere i numerosi commenti formulati da singoli docenti, intervenuti numerosi sul sito dell’Indire, in calce alle paginette delle indicazioni per ogni disciplina.
Quanto a noi come Giscel, non credo che possiamo fare molto più che segnalare questa sostanziale e inutile ‘conferma’ di un passato mai abbandonato nella scuola, pur con alcuni vincoli su testi e autori da leggere (che saranno discutibili, ma che forse servono per evitare la grande e farraginosa dispersione e casualità con cui si è studiata la letteratura italiana negli ultimi decenni; che inoltre sono da intendersi come il ‘minimo’ che non esclude comunque, per chi voglia, la possibilità di vedere anche altro) e con tutte le (apparenti) aperture che possono permettere - ma solo agli insegnanti più consapevoli - di lavorare nei modi e con le attenzioni che come Giscel abbiamo più volte sottolineato anche per la scuola superiore. Le “idee per un curricolo di educazione linguistica democratica” da noi formulate qualche anno fa possono essere realisticamente riproposte (né sono in palese contraddizione con tali ‘indicazioni’ generali) per incanalare il tutto verso direzioni meno soffocantemente letterarie, e per introdurre (con attenzioni e contenuti più precisi e meno ‘occasionali’ di quelli qui previsti a partire dal secondo biennio) anche una riflessione sulla lingua da sviluppare in modo ben più serio proprio all’altezza del triennio, senza esaurirla in qualche più o meno sporadica attenzione di tipo storico-linguistico.
Solo che... ci potranno dire... con un’ora di italiano che - credo - sarà addirittura in meno, come si potrà fare? ma soprattutto come potrà un “docente unico”(così viene precisato) di lingua e letteratura italiana, ancora sbilanciato (anche per la sua formazione iniziale), sulla dimensione letteraria, leggere ragionevolmente, all’altezza dei licei, i bisogni linguistici dei suoi allievi e, al di là degli autori da far ‘studiare, come riuscirà a curare tali bisogni in modo soddisfacente? ed è il problema annoso e di sempre, anzi oggi forse più drammatico che in passato.
(2 aprile 2010)

Giscel ha detto...

Adriano Colombo ha inviato un commento Sull’educazione letteraria al forum tematico dell’Ansas. Il suo intervento è pubblicato anche al sito Giscel nella rubrica “Notizie e commenti”.
(4 aprile 2010)

Cristina ha detto...

Caro Adriano,
non sono molto d'accordo con te sul punto che contesti con forza: l’idea di individuare gli autori irrinunciabili che, in un percorso storico-letterario, non possono non essere affrontati a scuola. Infatti le critiche dei ragazzi di Barbiana (fatte però a livello di scuola dell'obbligo, non dimentichiamolo) su una 'cultura' unitaria e ben riconoscibile, esclusiva ed escludente tanto altro, oggi vanno più che mai ripensate alla luce dello spappolamento/ disgregazione di una unità culturale italiana (e letteraria) alta, sostituita da una parte da una terribile unità massmediatica da "grande fratello" e dall'altra da una rivendicazione leghista e localistica di culture 'dialettali' agitate come una clava per espellere dalle graduatorie per l'insegnamento (e forse per tutti gli uffici pubblici) quelli che un tempo (solo un tempo?) si chiamavano 'terroni' .
Di fronte a questa disgregazione incolta e "federalistica", che fa leva più che mai sulle differenze e ignora un'unità storico-culturale che non è tutta costruita, mi è capitato di rivalutare il profilo desanctisiano di una italianità preunitaria, costruita prima di tutto sul piano letterario (e linguistico). Un profilo un po' costruito - lo sappiamo - ma, insieme, forse più fondato di quanto pensassimo quando lo criticavamo come costruzione dettata dall'esigenza di 'fare gli italiani' (mi è capitato di scoprire la profonda e precoce 'italianità' preunitaria, ma diffusa, anche nell'attenzione legislativa - tipicamente italiana e di lunga data - ai "beni culturali" e al paesaggio: ti segnalo la bella relazione di Settis fatta recentemente da queste parti, in cui stiamo tentando di difendere dalla barbarie cementificatrice i resti della più grande necropoli punica del Mediterraneo: la si può leggere su www.sardegnademocratica.it).
Credo che sarebbe opportuno (politicamente e culturalmente) rilanciare oggi più che mai una cultura, anche letteraria, alta e unitaria, facendo leva proprio sugli autori che vengono indicati anche negli attuali programmi. Parlo di letteratura nel triennio, affrontata in parallelo rispetto a uno spazio equilibrato da riservare all'educazione linguistica; senza anticipazioni e dopo aver insistito il più possibile, nel biennio, sugli strumenti adatti per leggere e capire i testi di ogni tipo.
Insomma, penso proprio che, anche quanto ai contenuti (e dunque agli autori imprenscindibili) sia importante puntare a ricostruire una base culturale comune e meno disgregata (soprattutto se siamo d'accordo sul fatto che la storia letteraria non vada buttata a mare e non ci si debba accontentare di una lettura casuale di autori e testi); ciò non significa che non ci debba essere poi lo spazio per mille altre opzioni diversificate che badino ad altro (e che introducano altri autori: non bisogna cascare nell'insidia del giochino delle molte assenze di cui rivendicare la necessaria conoscenza...).
Ho letto gli interventi di commento al sito Ansas, e questi commenti, in linea di massima, confermano le prime impressioni di cui vi ho già scritto. Infatti, benché ci sia anche la "Lingua" (in un piccolo spazio autonomo), l'attenzione dei più si concentra sulla letteratura, discute appunto sulla presenza/assenza di questo o quell'autore, sulla fattibilità o meno di 25 canti di Dante, sull'anticipazione di letteratura delle origini e poesia siciliana già nel secondo anno ecc. Pochissimi sembrano accorgersi della presenza di indicazioni sulla "lingua", solo qualcuno sottolinea la necessità di una maggiore articolazione degli obiettivi relativi, ecc. E i membri della commissione mi sembra intervengano solo per spiegare e difendere le loro scelte... (d'altra parte, non ci sono critiche di fondo e di peso, a parte quelle, giudicate 'non pertinenti' sulla riduzione delle ore a disposizione e l'aumento del numero di alunni per classe...).
(4 aprile 2010)

Adriano ha detto...

Cara Cristina, cari tutti,
il tuo intervento è un forte elemento di chiarezza; dobbiamo avere la consapevolezza che qui si confrontano due visioni antitetiche della formazione letteraria. Da un lato la formazione dell'identità nazionale secondo il modello desanctisiano (un po' diluito dal secolo e mezzo che è passato dalla sua Storia), dall'altro l'educazione al leggere letterario, aperta su ogni manifestazione letteraria, certo con un occhio particolare (che la nostra scuola avrà sempre) ai nostri classici. Nella traduzione di questa idea in programmi, le garanzie su quest'ultimo punto ci sono sempre state, ma resta che o i nostri classici sono capaci di vincere la sfida per la propria forza, o mantenerli in vita con la respirazione artificiale è accanimento terapeutico. Io sono convinto che niente abbia danneggiato il prestigio di Manzoni, la sua capacità di attirare lettori, quanto l'averlo imposto come un obbligo.
Se pensiamo di proporre a un ragazzo italiano di oggi (di qualunque origine) la letteratura imponendola come segno di identità (una specie di servizio di leva), abbiamo condannato a priori alla sconfitta la letteratura e la scuola.
Le velleità di regionalizzazione della cultura letteraria hanno di per sé il fiato corto: chi affianca Stelutis alpinis alla Commedia farà ridere in breve tempo.
(5 aprile 2010)

Cristina ha detto...

Caro Adriano,
non capisco perché le due cose - capacità di leggere i testi e conoscenza, anche lungo la dimensione del tempo storico, dei nostri grandi autori (quando e come farli conoscere è un altro discorso) - siano necessariamente da porsi in alternativa. La sfida dovrebbe essere come conciliare queste due cose. O no?
Per me non è questione di identità nazionale, ma di tenuta - a tutto campo - di un sistema scolastico nazionale e di una cultura fortemente unitaria, anche in un common core di contenuti (che, ripeto, non escludono articolazioni e differenziazioni suggerite da esigenze più 'locali' e motivazionali di territorio, scuola, gusto personale di studenti e docenti, ecc.).
La cultura di base acquisita al liceo dovrebbe insomma essere largamente unitaria e equivalente (anche se non completamente uniforme) ovunque, pena un concorso alla distruzione dell'intero sistema (già in atto, peraltro). Ciò porterebbe dritto dritto, poi, all'abolizione del valore legale dei titoli di studi (di diploma e, poi, di laurea) e a una loro insopportabile differenziazione (che è già purtroppo largamente nei fatti) quanto a 'valore' e prestigio sociale ("dimmi che scuola e Università hai fatto e dove e ti dirò quanto vale ciò che hai imparato"). È questo che vogliamo? se non lo vogliamo, teniamo unito il sistema e non sottovalutiamo l'importanza di contenuti unitari e che abbiano un minimo di valore orientativo (che per molti diventa anche costrittivo). Non siamo d'accordo con chi giustamente ha protestato con gli storici che non hanno visto la Resistenza nominata nei programmi di storia? certo, la si sarebbe potuta fare ugualmente, includendola nella seconda guerra mondiale, come è stato risposto, ma il valore, anche simbolico, della sua presenza/assenza nei programmi non è da sottovalutare.
(5 aprile 2010)

Adriano ha detto...

Cara Cristina,
la questione di conciliare le due cose è stata ampiamente affrontata e per quanto possibile risolta a partire dal volume del '97 "La letteratura per unità didattiche" e dal programma adottato fino a ieri negli istituti tecnici commerciali.
(5 aprile 2010)

Antonella ha detto...

Cari tutti,
sento l’esigenza di inserirmi in questo confronto sulle Indicazioni con alcuni pensieri in libertà nati dalla lettura degli ultimi interventi.
Le teorie non sono mai neutre. Come non sono neutre le scelte didattiche che ne conseguono. Certo tutti (incluso chi, come me, non insegna letteratura) comprendiamo la sostanziale differenza fra modelli diversi di insegnamento della letteratura. Riusciamo anche a cogliere che occorre avere ben chiare le distanze fra modelli e non dimenticare la strada già percorsa in questi anni per il superamento di una certa idea di insegnamento della letteratura.
Tuttavia, alla sollecitazione di schierarsi a favore di una visione teorica o di un’altra, si impone un interrogativo: perché scegliere?
Sarà perché sono una donna di scuola, ma mi pare che nell’attività quotidiana le scelte che si compiono, in alcuni casi, possono riferirsi a visioni teoriche di segno diverso e non si pensa che l’adozione di una certa visione escluda in modo totale l’adozione di un’altra. Certo, ciò non significa che il docente sia autorizzato a gettare gli ingredienti più svariati dentro il calderone, senza interrogarsi sulle scelte (tanto alla fine un risultato ci sarà). Piuttosto penso che ogni docente, comportandosi come un cuoco, sa che alcuni ingredienti più di altri possano essere funzionali alla riuscita di una certa minestra. Perdonate, questo mio discorrere istintivo, ma ritengo che le scelte compiute da ogni docente sono valide se funzionali al raggiungimento del traguardo auspicato.
Non vedo nessuna opposizione insanabile fra quanto dice Cristina e ciò che pensa Adriano. Se al centro di un progetto educativo c’è lo studente (e non la letteratura), e dunque se il perno intorno a cui ruota il lavoro quotidiano di un insegnante è la preparazione dello studente all’esercizio della cittadinanza democratica attiva, allora sarà sicuramente importante che ci sia un “common core di contenuti” che garantisca una cultura unitaria. Così come non è da sottovalutare l’importante apporto di una educazione letteraria che faccia di ogni studente “un buon lettore di testi letterari: competente, dotato di strumenti di analisi e interpretazione…” e “curioso di nuove letture”. Insomma, io non vedo opposizioni, quanto piuttosto complementarità.
Concludo. A mio avviso, c’è una questione più urgente su cui discutere: nelle indicazioni nazionali per i Licei i contenuti e le conoscenze disciplinari si stagliano con nettezza all’occhio del lettore, ma dov’è lo studente?
(6 aprile 2010)

Adriano ha detto...

Cara Antonella,
hai ragione, l'opposizione non è insanabile. Fin dalle prime elaborazioni del curricolo modulare di letteratura (che naturalmente non ho fatto da solo) il problema è stato posto. Consultando i testi relativi si vede che alcuni paletti chiari sono sempre stati posti. Solo, credo che le mediazioni siano possibili se il punto di partenza è chiaro: la finalità per cui ci occupiamo di letteratura a scuola. Se si parte da una lista di nomi non si media più niente, si fa un Bignami (più o meno completo - ma è buffo parlare di completezza in queste cose! -, più o meno accompagnato da letture). Intervenendo poi nel forum Ansas, in uno spazio compatibile con lo strumento, non potevo avanzare proposte elaborate, solo una critica radicale che credo che sia necessaria (sarà inutile... eppure tacere non si può), con solo un accenno all'esistenza di altre proposte ignorate da chi ignora.
È vero anche quello che dici dell'insegnante-cuoco: ma qui non stiamo parlando direttamente dell'insegnante in classe, stiamo parlando di un testo ministeriale che deve dargli delle direttive. Sempre, quando si è parlato di programmi, quando un tempo parlavamo di obiettivi e competenze, ho trovato difficile far capire quanto sia profonda questa differenza di punti di vista. Un programma non è un seminario di formazione.
A proposito di testi di riferimento: sarebbe ora di andare a vedere le Idee per un curricolo di educazione linguistica democratica, documento approvato dal Giscel nell'assemblea di Modena 25.9.04. Che io sappia è l'unico testo ufficiale del Giscel che parla anche di educazione letteraria (punto 5, vedi in particolare 5.4). Mi sembra coerente con quanto vado dicendo, pur nella stringatezza necessaria in un documento (dilungarsi sulla letteratura avrebbe poi tradito la natura e la storia del Giscel).
(6 aprile 2010)

Rosa ha detto...

Cara Antonella, cari amici e amiche Giscel
ho letto tutti gli interventi che si sono susseguiti in questi ultimi dieci giorni, sul tema delle Indicazioni per i licei e in particolare sul testo di italiano. Mi sembra di poter condividere tutte le osservazioni fatte al testo dai vari colleghi.
Ho inviato una "proposta operativa" al sito Giscel, nella rubrica "Notizie e commenti".
Spero che abbiate il tempo di leggerla.
(6 aprile 2010)

Anna Rosa ha detto...

Cari tutti,
ho appena letto il contributo di Rosa e mi sembra molto interessante.
Intanto ho inviato al forum Ansas e al sito Giscel un intervento di Adriano e mio a proposito dei "nuovi" (?!?) licei.

Un saluto affettuoso

Anna Rosa (7 aprile 2010)

Daniela P. ha detto...

Mi inserisco nel dibattito sulle Indicazioni nazionali per aggiungere qualche considerazione “pratica”. Procederò con qualche osservazione e una perplessità di fondo.

Osservazioni
1. La mia prima osservazione, rispetto alle Indicazioni, è stata: sono state elaborate in funzione dei test di ingresso alle facoltà ad accesso programmato (medicina in primis); l’attenzione al canone sembra voler consentire allo studente in uscita di saper rispondere, ad esempio, alle varie richieste di abbinamento autore-opera principale-anno di edizione et similia.
2. Mi sembrano un riassunto/rielaborazione di molte indicazioni già presenti nei Programmi Brocca.
3. Ho apprezzato la presenza di OSA di Lingua per tutti e cinque gli anni (come rilevato, mi pare, da Daniela e Maria Pia)
4. Ho alcune riserve sulla vicinanza della lingua dei Promessi Sposi alla lingua dell’adolescente di oggi o la congruità dei 25 canti.

Perplessità
La mia perplessità non riguarda tanto il “quanto”, di Profilo generale e Osa, ma il “come”, indipendentemente dalle prescrizioni ministeriali.
Apprezzo la proposta operativa di Rosa, ma quanti docenti sarebbero in grado di realizzarla, praticarla?
Il problema vero, secondo me, è che nessuno controlla i modi, la metodologia adottata dai docenti per attuare le Indicazioni/Programmi/Osa. Chi li forma a un’”educazione linguistica democratica”? Le Ssis hanno tentato di inserire laboratori e tirocini nella formazione iniziale, ma quanto hanno inciso?
Ho fatto per dieci anni supervisore di tirocinio presso un’Università dove Didattica dell’italiano non poteva comparire perché, mi è stato detto, non c’era un codice ministeriale cui abbinare l’insegnamento (e come hanno fatto, allora, altre università?)
Il fatto stesso che le Ssis siano state “sospese” indica una precisa chiusura di spazi faticosamente conquistati, ma evidenzia, nel contempo, i limiti di un’impostazione che, in molti casi, ha visto prevalere la duplicazione dei corsi universitari sulla valorizzazione di laboratori e tirocini.
Le indicazioni sono, credo, volutamente difettose, per alimentare il dibattito e spostare l’attenzione soltanto sull’oggetto (i contenuti).
Ma non è neanche il soggetto studente, secondo me, l’ assente. Il soggetto assente è il motore dell’azione didattica, il docente.
Penso che le energie andrebbero indirizzate – e mi sento in linea con Edoardo – sull’individuazione degli spazi, dei modi attraverso i quali poter incidere nella formazione dei futuri insegnanti, per la trasmissione di tecniche di insegnamento, curiosità didattica, interesse per la ricerca, opportunità di lavorare in gruppo, aspetti che l’attuale formazione universitaria continua a non dare e che non darà l’anno di formazione e di tirocinio attivo previsto dal nuovo modello di formazione iniziale.
Il coinvolgimento degli Uffici scolastici regionali e degli assessorati potrebbe forse offrire l’opportunità di individuare su scala regionale degli spazi di intervento. La riduzione del tempo scuola potrebbe offrire la possibilità di inserire dei progetti di istituto per un percorso, ad esempio, di scrittura da programmare per una quinta ora del mattino e destinato a gruppi di studenti di più classi. Ciò potrebbe presupporre la formazione di docenti di più scuole da “formare” in tal senso… Sono solo alcune idee…
Daniela P. (7 aprile 2010)

Daniela ha detto...

Dopo la lunga e fruttuosa discussione (che a me è stata molto utile), cercando di tenere conto dei vari interventi, provo a esprimere il mio punto di vista nel merito dei programmi.
Non posso fare altro che ribadire quanto avevo già sinteticamente scritto, qui in modo un po’ più articolato.
- La pecca più grave, di tipo strutturale, che secondo me rende i programmi inemendabili, è l’impianto “vecchio”, che non presta, volutamente, nessuna attenzione ai reali e concreti esiti formativi e linguistici. Le competenze sono nel titolo e in nient’altro (evidentemente “acquisire familiarità con la letteratura” e altre espressioni altrettanto vaghe, non si possono definire competenze). Quello che importa sono le “conoscenze”.
Questo da una parte comporta una fortissima frammentazione e discrasia rispetto ai programmi di lingua straniera e perfino a quelli di latino (licei classici e scientifici). Dall’altra ignora del tutto, per il biennio, le competenze, abilità ecc. previste dal non abrogato DM agosto 2007 per l’innalzamento dell’obbligo scolastico. Il primo biennio dei Licei è legalmente, a tutti gli effetti, scuola dell’obbligo, in qualche modo con un’equivalenza formativa rispetto ai bienni dell’istruzione tecnica e professionale, per quanto riguarda le competenze di base, e questo dovrebbe tradursi in precisi esiti formativi previsti per questo segmento.
- Entrando più nel merito dei “contenuti”, è vero che c’è un’opportuna estensione della riflessione linguistica a tutti e cinque gli anni, ma è anche vero che la riflessione sulla lingua non può coincidere solo con la storia della lingua e con la riflessione sui testi letterari.
- Per quanto riguarda il canone, anche se non voglio entrare nel dettaglio, il fatto che ci sia un’elencazione minuziosa di autori italiani (non tutti, credo, ugualmente necessari per la costruzione di un’identità nazionale, anche se si volesse accettare la posizione diciamo desanctisiana di Cristina su cui io ho i miei dubbi) è tutt’altro che indifferente, perché gli insegnanti diranno che non hanno tempo di fare altro che quello che è scritto nei programmi (lo sappiamo bene che diranno così).
- Ribadisco che il canone è assolutamente “italianocentrico” e monoculturale. Le “opere fondamentali della letteratura straniera” sono lasciate alla lettura personale (leggi: compiti delle vacanze) e questo è particolarmente grave se si considera che, a parte il Liceo linguistico, negli altri verrà studiato di fatto solo l’inglese, per cui le opere della letteratura francese, tedesca, latino-americana, ecc. potranno essere bellamente e completamente ignorate. Per i programmi, evidentemente, è più importante leggere Tasso e Carducci che Cervantes e Baudelaire, facendo solo due esempi. In termini identitari, l’identità europea non è altrettanto importante di quella nazionale (siamo nel 2010, non nel 1950)? E lascio volutamente da parte il richiamo alle letterature e culture degli studenti che popolano le nostre scuole, e sempre di più, per fortuna, anche i Licei, venendo da tutto il mondo. Come ha già detto Antonella, lo studente in questi programmi non si intravede neanche, e l’insegnante mi pare sia visto più che altro come esecutore.
Daniela (9 aprile 2010)

Marinella ha detto...

Frequento da un po' di tempo il sito e il blog del Giscel.
Desidero ringraziarvi per la ricchezza di idee e di sollecitazioni. Oggi più che mai la scuola italiana ha bisogno di "idee per un’educazione democratica".

Giscel ha detto...

Adriano Colombo ha inviato un altro commento al sito dell'Ansas. Il suo intervento è pubblicato anche al sito Giscel nella rubrica "Notizie e commenti".

Giscel Sardegna ha detto...

Il gruppo Giscel Sardegna ha discusso le Indicazioni per i Licei, riflettendo in particolare su alcuni punti specifici.

1) L'italiano come L2 non c'è, nè come insegnamento specifico nè nella sua funzione trasversale come strumento per l'apprendimento delle altre discipline . Sarebbero state opportune almeno alcune "indicazioni di orientamento":
- una maggiore e specifica gradualità nel conseguimento delle competenze;
- la necessità di privilegiare la comunicazione orale, pena la mortificazione del rendimento nel complesso delle discipline e la loro stessa comprensione.
- l’opportunità di attivare specifici percorsi con i quali garantirne l'efficacia didattica e
un'interazione attiva fra i parlanti italiano LM e i parlanti in Italiano L2.
Consapevole o inconsapevole che sia, tale assenza ignora, rimuove l’ampia fascia di giovani immigrati di lingua madre diversa dall’italiano, una rimozione che assume il valore di un "respingimento" culturale e sociale; ma esprime anche una chiusura “italianocentrica”, provinciale e indifferente alla ricchezza che può venire dall'accoglienza attiva e reciproca di altre lingue e altre culture.

2) Alcuni punti positivi e altri molto critici in riferimento alle LS. La lacuna di queste indicazioni è l’idea di un’educazione linguistica (espressione inesistente in questi documenti … come ben sottolinea Cristina Lavinio) composta da piccoli mattoncini (tipo lego) sovrapposti e non collegati tra loro … in altre parole manca l’idea di fondo della costruzione della rete dei saperi.
Sulla parte delle Indicazioni relativa alle LS rimadiamo al documento pubblicto al sito Giscel nella sezione "Notizie e commenti".

3) Rileviamo infine la mancanza di un riferimento chiaro e articolato ad una prospettiva verticale e ad un raccordo con le Indicazioni per il primo ciclo dell’istruzione, richiamata solo perché si verifichino i livelli di apprendimento conseguiti dagli studenti nel corso del primo ciclo dell’istruzione e perché se ne colmino le eventuali lacune. Tale mancanza tende a creare tra i due ordini di scuola una separatezza che in questi anni si era cercato di colmare con studi e sperimentazioni oltre che con il lavoro delle commissioni di continuità attivate in tutte le scuole.

Pierluisa ha detto...

Mi sembra risulti particolarmente trascurato quanto è andato scomparendo inesorabilmente, specie dopo la magnifica ultima puntata agita e scritta dalla Commissione DeMauro: un progetto di scuola centrato su persone, intelligenze e relazioni, e visione politica. Utopia! grida il filosofo; ma le Dieci Tesi erano e sono Utopia e visione politica, se no, perché tradurle? Solo per fregiarsene?
Ormai la prescrittività ha preso la mano e tutte le INDICAZIONI e SUBINDICAZIONI, che si sono susseguite già da un po’ con decreti e volumi, non si sono sottratte alla regola: epistemologia inconsapevole, la direzione non conta l’importante è il tracciato; discutiamo di prodotti da assumere senza confrontarci (e senza esplicitare) sull’idea di salute (e di malattia) cui facciamo riferimento e soprattutto su chi, dove e come svolgere i compiti.
Crescere è processo e soprattutto complesso; le maestre e i maestri, molto competenti e molto attenti, camminano al fianco di tutti, qualche volta precedono e poi, trionfanti, seguono; gli esperti linearizzano, parcellizzano, banalizzano, mercificano, selezionano e soprattutto escludono, l’importante è non far vedere le bare rigorosamente avvolte nel tricolore della valutazione oggettiva o di un apprendistato anticipato. Scusate dimenticavo la certificazione delle competenze.
Insomma e al postutto, le Dieci Tesi avevano chiesto alla linguistica una mano democratica, ora non sarà venuto il momento che la Linguistica chieda alle Dieci Tesi qualche consiglio per la democrazia?